Broken Glazz - Withdraw From Reality


È davvero con un pizzico di emozione e di soddisfazione che mi accingo a presentare quest’intervista intercorsa fra il sottoscritto ed il buon Pier Querio, bassista nonché membro dei grandiosi Broken Glazz, anche perché, chi mi conosce bene, sa quanto quella band abbia rappresentato, è rappresenti tutt’ora, per il sottoscritto, un sentimento di totale ammirazione, e di viscerale ed incondizionata devozione artistica, nato sul finire degli anni ottanta, per merito soprattutto delle ottime qualità espresse dai nostri sulla demo omonima rilasciata nel 1989, e che si è solidificato negli anni grazie a platter del calibro dell’eccelso "Divine" e dell’altrettanto fondamentale “Withdraw from reality”, due dischi che, fortunatamente non sono il solo a pensarlo, avrebbero meritato sicuramente più fortuna di quanta non ne hanno già avuto, nonché un’attenta rivalutazione da parte delle nuove generazione di metalheads nostrani, non solo in prospettiva dell’ultimo revival di band appartenute ad un passato poi non tanto remoto.
Un’intervista che, negli anni, ho cercato sempre con maggior insistenza, non solo per un mio semplice appagamento personale, ma soprattutto per poter finalmente fare luce su alcuni lati oscuri che ruotavano attorno alla band, soprattutto per quel che concerne lo split immaturo che aveva lasciato l’amaro in bocca a più di qualche persona. Potremmo stare ore ed ore a parlare dei perché e dei per come senza tuttavia arrivare a risultati logici, lascio dunque con piacere la parola al mio interlocutore che ci aiuterà a capire qualcosa di più all’universo che girava attorno ai Broken Glazz, quindi mi raccomando, allacciate bene le cinture che si parte per un viaggio a ritroso nel tempo, destinazione Torino fine anni ottanta, meno tre, due, uno…..
Intervista raccolta da: Beppe "HM" Diana
Ciao Pier, allora la prima domanda che mi preme porti è : ma che cosa hai combinato in tutti questi anni di mancanza dalle scene italiane?
Come prima domanda non è niente male: mi chiedi solo di colmare una quindicina d'anni in poche righe.. La fine dei Broken mi aveva lasciato l'amaro in bocca: era stata una forte delusione, perché eravamo qualcosa di unico. Ho cercato qualche altra band con cui suonare (con scarso entusiasmo, devo ammettere) , ma non sono mai riuscito a sentire nuovamente l'alchimia di quel tempo. A periodi alterni mi sono dato decisamente alla macchia..
Tra una “sparizione” e l’altra, ho suonato per qualche periodo per conto mio, ma ho anche cercato di realizzare progetti quali una cover band dei Muse, un gruppo blues (ma è troppo noioso per me), e i Collision, un progetto finito miseramente in cui militavano Ian Binetti e Danilo Saccottelli.
Per tutto questo tempo, mi sono dedicato quasi completamente al lavoro e alla famiglia: il lavoro mi ha portato in giro per tutto il mondo, la famiglia mi ha regalato uno splendido figlio, Edoardo, e un divorzio.
Beh, devo ammettere che sono stato alquanto sfuggente..

Ok, adesso facciamo un salto indietro di una ventina di anni, ti và? Siamo nel primo periodo con i Broken Glazz, quindi, come ed in quale occasione incontrastii gli altri ragazzi della band?..e se non è troppo, come mai la scelta di un nome così particolare? Cosa stava ad indicare l'idioma "specchi rotti"?
La traduzione effettiva è “Vetri rotti”, a causa del volume di suono che intendevamo sprigionare dai nostri amplificatori… Mi ricordo di aver incontrato Andry andando a Milano, in treno, ad un concerto degli Slayer.
Ma non ricordo bene i dettagli del primo incontro con la band. So che i futuri Broken stavano cercando un bassista, e uno dei chitarristi con cui stavo suonando mi aveva parlato di una nuova band niente male..

Era la prima vera esperienza musicale per tutti i membri del gruppo, o qualcuno di voi aveva già suonato con qualche altra formazione rock del periodo?
Io militavo nei “Wired”, una band di San Benigno che faceva del rock/hard-rock, a volte molto heavy (causa mie influenze) a volte molto Doors. Avevo già all’attivo decine di concerti ed un demo-tape autoprodotto in “cantina”.. Invece, Andry aveva già registrato una demo con un altro gruppo in un vero studio di registrazione.

Prima della pubblicazione del disco di esordio, incideste una demo omonima di sei brani che presentava il moniker originale della band ovvero Broken Glass, come mai decideste di cambiare nome? Omonimia con qualche altra formazione del periodo, o cosa?
Il cambio delle “SS” in “ZZ” è dovuto ad un caso di omonimia con una band statunitense (credo)..
 


Toglimi una curiosità, su quella mitica cassettina c'è riportata la frase "Remixed", quindi mi pare di capire che esiste una prima versione della demo diciamo molto più grezza?
Affatto! La prima versione del demo-tape fu registrata e mixata in un week-end, lavorando al mixing tutta la domenica pomeriggio e notte. Uscimmo dalla sala regia alle 6 del mattino. Ne facemmo 600 copie, che andarono esaurite nel giro di un paio di settimane. Quindi decidemmo di farne altrettante, ma sapevamo che il mixaggio poteva essere migliore, da cui la frase “Remixed” stampata a mano sulle copertine rimaste! Cazzo, non finivano più!! :D

In che maniera arrivaste alla pubblicazione del vostro primo lp “Divine” edito dall’allora attiva Dracma records? Se non ricordo male fu proprio grazie al grande responso che otteneste sulla compilation "Nightpices" a spingervi sotto le ali protettrici dell'etichetta torinese, è cosi?Non esattamente.. Arrivammo alla pubblicazione di “Divine” proprio grazie al demo-tape. Mi ricordo che quando andammo a registrare il demo, eravamo assolutamente sconosciuti, e la sensazione era quella di essere considerati “provincialotti”… Tale sensazione è durata appena 24 ore… alla fine della registrazione di “Walking the line” avevamo già su di noi tutta l’attenzione dell’etichetta. È stato quasi un fulmine a ciel sereno.

Che ricordi hai delle session di registrazioni di piccoli capolavori come "Faces on the floor" o della spassosa "Fun House"?.. e se non è troppo, all'epoca ti saresti mai immaginato di aver creato un disco che, ahimè, è divenuto nel tempo un mero oggetto di collezionismo fanatico?
Suonavamo in media 15/18 ore alla settimana. La maggior parte dei pezzi è cresciuta giorno dopo giorno, con infinite ripetizioni e combinazioni di riffs.
Probabilmente Fun House è stata composta in una sola sessione, ma le altre… proprio non sarebbe possibile, sono troppo complicate!
Nulla dura in eterno… I sogni erano di ben altro tipo, a quei tempi. Si sognava di suonare con Metallica, Megadeth, Testament, Slayer e altri, di vivere di musica e girare il mondo. Di diventare delle rock-star..

Ricordo anche che all'epoca del vostro esordio qualcuno vi etichettò come power metal band, io invece ho sempre considerato lo stile dei Broken Glazz come un thrash metal con qualche spunto più progressivo, tu che ne pensi?
Non mi sono mai dato delle etichette, né me ne do adesso.. suonavamo quello che avevamo voglia di suonare… Sicuramente eravamo molto tecnici: molta gente veniva ai nostri concerti, soprattutto all’inizio, per sincerarsi se su un palco riuscivamo a rifare ciò che avevamo inciso su vinile in Divine… Non credo che li abbiamo delusi

Un disco questo che, nonostante il discreto successo di pubblico e di vendite, porto allo split con il vocalist James Wynne che, se non ricordo male, andò a formare i F.I.N.E. hard rock band più orientata verso uno street rock, e per poi tentare la strada americana, in che modo assorbiste quell'allontanamento forzato all'ora?
Eravamo molto preoccupati, non sapevamo proprio cosa fare. Per assurdo, non conoscevamo nessuno che potesse prendere il posto di James, sia come chitarrista che come cantante. Ivan decise di cimentarsi al microfono, cosa che aveva già fatta per Fun House, e Dracma ci presentò Luca… direi un vero colpo di fortuna.



Si, sono d'accordo con te, l'entrata in pianta stabile del virtuoso Luca Balducci aumentò sensibilmente l'aspetto tecnico delle composizioni della band, eppoi l'apporto vocale del mitico Ivan Appino, molto vicino al Dave Mustaine dei giorni migliori, fecero sognare ben più di un appassionato dell'epoca...
Si, fu una svolta azzeccata. E ancora oggi, suonare con lui è un vero piacere!

In che maniera arrivaste a pubblicare il tanto atteso follow up "Withdraw from Reality"? Credo che, almeno all'epoca, nessuno si aspettasse un album così tencico da una band giovane come la vostra, forse neanche voi, è così?
Anche con l’ingresso di Luca, i nostri ritmi rimasero sempre elevatissimi: le nostre 15/18 ore settimanali di prove consistevano nel riprovare i pezzi e a produrre idee nuove, registrate sistematicamente su un mangianastri e riascoltate dopo una settimana circa. “Withdraw from reality” fu la logica conseguenza del lavoro effettuato in sala prove: eravamo affamati di musica, tutti quanti!

Un disco in cui l'impronta progressiva, intesa nel senso più lato del termine, riusciva addirittura a prendere le redini, sto pensando alla strabiliante "7.7.2" ad esempio, che mi dici?
Ivan prese coscienza delle sue possibilità come cantante, e l’ingresso di Luca incrementò il virtuosismo e aumentò il livello tecnico dei brani. In quel periodo andai a lezione da Umberto Mari (Redivivus), bassista jazz e non solo, molto conosciuto in Torino. Metti tutte queste cose insieme, e ottieni quell’album!

La pubblicazione del secondo disco portava con se una miriade di novità come ad esempio un management che vi seguiva ovunque, e la nascita di un vero e proprio fan club che raccoglieva un numero esagerato di fedelissimi da tutto lo stivale, giusto?
Effettivamente si! Eravamo sommersi dalle lettere, al punto tale che venne creato il BrokenGlazz Fan Club con sede a San Giorgio C. se. Grande merito a Maddalena Serazio, per l’impegno, il tempo ed anche i soldi profusi in quest’idea!

Cosa mi racconti del mini tour di supporto ai truci metallers Manowar? Siete riusciti a scambiare qualche chiacchiera con DeMaio e soci all'epoca, o si comportavano già da star del firmamento musicale?
La data con i Manowar è scolpita in maniera indelebile dentro di me: era la prima volta che suonavamo in un concerto del genere, in un palazzetto e con una band famosa a livello mondiale.
La cosa che più mi è rimasta impressa è l’attimo prima del concerto, quando i roadies sono venuti a “prenderci” mentre nel palazzetto si spegnevano le luci e saliva assordante il ruggito del pubblico; la corsa con gli strumenti a tracolla alla luce delle torce; il primo riff e il mio timpano destro che esplodeva (mai avuto un simile volume di suono sul palco!); la trepidazione in attesa della reazione della gente (il pubblico dei Manowar non è mai stato gentile con le bands di supporto, né oggi né ieri); i brani che venivano snocciolati uno dopo l’altro senza intoppi…

Preceduto da un video professionale, girato proprio nei studi della Dracma, nel 1994 esce un mini cd dal titolo "Solitude" che presenta nuovamente una band agguerrita alle prese con un suono drasticamente più moderno ed americanizzato, permettimi il termine, riascoltandolo con il senno del poi, come giudichi la vostra scelta stilistica, un adeguamento ai trend dell'epoca o solo una normale evoluzione artistica?
Certamente fu dovuto all’evoluzione artistica. Invece l’adeguamento al “trend” lo puoi trovare in Game Over, registrata in versione acustica proprio sull’onda di “Unplugged in NY” dei Nirvana. A tutti gli effetti, la versione “elettrica” di Game Over è dicisamente diversa!

Mini cd che serviva da apripista per un album che non fu mai pubblicato, ma che venne presentato nella vostra serata d'addio ai vostri fan che, successivamente, vennero omaggiati da un nastro con le registrazioni di quel disco, è così?
Vero. Avevamo fatto una registrazione in “garage” con un multitracce, che è stata successivamente mixata in uno studio di Torino. L’ultimo omaggio che abbiamo fatto hai nostri fan è stato un tape contenente da un lato il futuro disco, praticamente pronto, e dall’altro la registrazione di uno degli ultimi concerti, credo quello in Dracma, una settimana prima che la band si sciogliesse.

Come mai arrivaste allo split della band? Eravate veramente arrivati ad una situazione così drastica da non poter evitare la separazione?
È stato inevitabile. Le cose sono iniziate a peggiorare dal momento in cui abbiamo suonato in Piazza San Carlo a Torino, al concerto per la presentazione della Fiat Punto.
Suonare per Agnelli non era quello che volevamo, e sia Ivan che il sottoscritto eravamo decisamente contrariati. Non ci siamo interessati al concerto fino al momento in cui ci siamo trovati davanti al palco, e solo in quel momento abbiamo realizzato cosa stava succedendo. Ma ormai era troppo tardi per tirarci indietro.
Come unico gesto di “sfida”, durante la presentazione del gruppo prima dello show, Ivan ha dedicato il concerto a tutti i cassaintegrati Fiat.
Questo fatto ha cambiato gli equilibri interiori, soprattutto per quanto riguarda Ivan. Alla fine non ha più retto e ha lasciato, trascinando con sé l’intera band.

Toglimi una curiosità, sul vostro split si sono sempre vociferate strane vicende, una dice che, all'epoca la band era diventata troppo importante per cui molti di voi si sentivano troppo responsabilizzati per poter portare questo gravoso peso sulle spalle, altre dicono che Ivan Appino sia partito per l'India con la bici per un viaggio spirituale alla ricerca del suo "Io" interiore, altre che dovevate firmare per la Roadrunner records e che il tentennare di qualcuno legato al gruppo, portò l'etichetta olandese a sciogliere le sue riserve nei vostri confronti..... puoi fare luce su questi fatti, se ti va?
Dopo che il gruppo si sciolse, tutti partirono: se rocordo bene Andry andò in Inghilterra per 3 mesi, Luca visse a Londra per 6 mesi, e Ivan... beh, non so se ci è andato in bicicletta, ma il viaggio in India è realtà, non una favola metropolitana! Della “RoadRunner” non ho mai saputo nulla di concreto, ma potrei non esserne stato informato: in quel periodo c’era molta confusione e sconforto.. Ci furono diversi contatti preliminari, ma nulla di concreto, se ben ricordo.

Ma tu che cosa hai combinato dopo lo scioglimento del gruppo all'epoca? Se non erro Andry e Luca, misero assieme una band con il mitico Valerio Gualandi, mentre Ivan prese parte al min degli Art Of Zapping, ma tu? E' vero che ti sei messo a suonare prima il contrabbasso, e poi ti sei trasferito in Germania dove vivi da qualche anno?.... ma la bagna cauda non ti bastava più?
La delusione per quello che successe fu devastante. Cercai di rimettere insieme i cocci della band prima che tutti partissero per una qualche destinazione, ma senza successo. Quando Andry e Luca tornarono, Valerio li contattò con la scusa di aiutarci a rimettere insieme il gruppo, ma con un secondo fine molto diverso, e appena lo capii lasciai il progetto.
Mi iscrissi al conservatorio per suonare il contrabbasso, e mi ci dilettai per un po’ di tempo. Poi il lavoro e la famiglia (nel frattempo mi ero sposato e avevo avuto un figlio) presero il sopravvento, e sospesi qualsiasi attività “seria”. Nel 2001 lavorai ad un progetto insieme a Ian Binetti e Danilo “Sakko” Saccottelli, i Collision.
Registrammo 4/5 pezzi ma poi anche quel gruppo si sciolse. Negli ultimi anni ho suonato blues, covers (avevo intrapreso un progetto di cover-band dei Muse) e altre cosucce, senza riuscire a ritrovare l’atmosfera giusta, l’alchimia speciale per fare qualcosa di appagante.
La Germania è storia recente: vivo vicino ad Hannover da quasi 2 anni, e collaboro con una band locale che fa del progressive rock (?) con molte influenze System Of A Down..

Ok Pier, siamo veramente alla fine, grazie del tempo che hai voluto dedicare, concludi l’intervista facendo un saluto particolare ai nostri lettori....
Non sono fatto per gli addii, ci vediamo alla prossima!
Best regards – Mit freundliche Grüße – Cordiali saluti
“Keep the faith alive!!!”
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